C’è un pregiudizio sui pazienti, che è il più errato di tutti. E’ il fatto che si creda che chi vuole andare dallo psicologo sia un cosiddetto “matto”. In questo articolo smonterò questo pregiudizio mostrando logicamente e praticamente quanto questo sia falso e ben poco utile.
Le definizioni
Partiamo dalla definizione di “Matto” dalla Treccani:
“persona che non possiede, o non possiede interamente, l’uso della ragione” altrimenti, sempre sulla Treccani “persona eccessivamente impulsiva o violenta”
Chiediamoci poi: che cosa vuol dire possedere l’uso della ragione?
Nella definizione di ragione accostiamo la forma del pensiero, ovvero la fluidità del ragionamento, la consapevolezza del contatto con la realtà, al possesso di criteri interni sufficientemente definiti (giusto/sbagliato; bene/male; vero/falso; e tutte quelle esperienze personali che vanno dai semplici gusti alle più articolate concezioni della vita).
Da questo punto di vista, il matto, potrebbe per alcuni essere parzialmente accostato, seppur in modo molto riduttivo, ad alcune gravissime forme di psicosi (disturbi psicologici con gravissima alterazione dell'esame di realtà, scarsissima autoconsapevolezza, allucinazioni, deliri ed estrema concretezza del pensiero). E a mio parere neppure a quelle. Ma, sicuramente, non ricalca la realtà clinica di ciò che vediamo quotidianamente in uno studio privato. Ciò che si vede spesso negli studi privati è la nevrosi della vita quotidiana, le condizioni borderline, i problemi relazionali anche gravi, ma ci troviamo molto raramente a confrontarci con una persona che “ha perso l’uso della ragione” nel senso enciclopedico sopra descritto.
Chi decide di andare dallo psicologo volontariamente?
Metto in luce poi che, generalmente, un paziente che viene volontariamente in studio è di per sé una persona che si sta rendendo conto di avere un problema, che ci sono alcuni aspetti della sua visione di sé stesso e del mondo che lo fanno star male. Una persona del genere, che vuole andare dallo psicologo perché capisce che deve lavorare su alcuni aspetti personali, manca dell’uso della ragione? Assolutamente no, anzi, dobbiamo riconoscerle che sta manifestando una certa consapevolezza.
Voglio poi proporre una riflessione, sempre basandomi sulla definizione di “Matto” precedentemente descritta: effettivamente, chi possiede interamente l’uso della ragione?
Qui la questione si complica notevolmente, a meno che non assumiamo come base una concezione dogmatica di realtà del tipo “la realtà è ciò che è provato scientificamente”. Oppure, più autocentrata, “la realtà è ciò che vedo o penso io”. E’ molto difficile avere dei criteri di cosa sia reale e cosa no.
Infatti, anche nella psicologia moderna più che cercare la realtà stiamo provando a complicarla, al fine di averne varie letture, prospettive e trovare una qualche forma di coerenza. Sulla base di questo, ci sono persone così onniscienti da possedere l’uso completo della ragione? Direi proprio di no, ci sono piuttosto diversi livelli di consapevolezza di sé e forme del pensiero più o meno concrete e adattive al contesto sociale. Su questa base, a meno che non stabiliamo un qualche ipotetico e fantasioso limite per definire quanta consapevolezza si possa avere, possiamo asserire che o siamo tutti “Matti” o non lo è nessuno.
Il matto come impulsivo o aggressivo
Analizziamo poi la seconda definizione di “Matto”, quella che accosta la pazzia all’impulsività o all’aggressività. Non sempre il paziente che noi terapeuti ci troviamo in studio è impulsivo, ci sono effettivamente delle problematiche psicologiche nelle quali l’impulsività è uno dei sintomi. Comunque non tutti i pazienti sono impulsivi, anzi, a volte ci sono persone che sono fin troppo controllate. Inoltre potremmo rivoltare questa riflessione anche su coloro che non decidono di andare dallo psicologo, siamo sicuri che nel resto della popolazione non ci siano impulsivi?
Per quanto riguarda il comportamento aggressivo, invece, non ci sono delle evidenze che il comportamento aggressivo sia maggiormente presente nei pazienti psichiatrici.
Voglio infine proporre una riflessione sull’utilizzo del termine “Matto” nel linguaggio comune. Molto spesso il “Matto” viene visto come una persona che ha delle idee fuori dal comune, dei gusti poco canonici o una visione della società un po’ outsider.
In una visione umanistica della psicologia è impensabile il termine “Matto” ed è altresì impensabile classificare come folle una persona con una forma mentis poco canonica o con delle idee divergenti. Quando si classifica una persona come folle unicamente per il contenuto delle sue idee prende piede quel meccanismo che ricorda i sistemi totalitari, nei quali un pensiero divergente non è tollerato in quanto concepisce un mondo diverso rispetto al credo comune.
La psicoterapia non è normalizzare un modo di pensare, ma aiutare il paziente ad articolare il suo modo di essere.
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