Con internet la psicologia, la psichiatria, la psicopatologia, la medicina, e in generale le scienze, stanno sempre più diventando un terreno comune di interesse.
Tutto questo rappresenta da un lato una “liberalizzazione” (forzando un po' il termine) delle scienze umane, quindi una scienza che diviene più alla portata di tutti, e quindi oggetto di critica e dibattito. Dall’altro sicuramente si fa sempre più evidente la scissione tra studioso della materia e chi, semplicemente, l’ha solo potuta apprezzare online.
Apro con questo discorso perché un po' mi aspetto che il cosiddetto “disturbo della personalità” sia un argomento abbastanza di interesse nella comunità virtuale. Molto probabilmente se ne parla, a volte se ne abusa, e se ne abusa soprattutto utilizzando il termine in inappropriati contesti di discussione.
Partiamo dalle basi: cos'è la personalità?
"Persona" erano le maschere che gli attori latini indossavano nei teatri dell'epoca romana. Erano maschere in genere piuttosto stereotipate, che rappresentavano esplicitamente il modo di essere del personaggio recitato in modo che il pubblico potesse immediatamente identificare la natura del soggetto.
Infatti il comportamento del personaggio nella scena era spesso molto coerente con la maschera indossata.
I latini avevano capito che nostra personalità è questo: la natura ricorsiva delle nostre emozioni, dei nostri pensieri, dei sentimenti che guidano le nostre azioni e le nostre scelte e che assicurano all'individuo un senso di coerenza, unità ed unicità personale, piacevole o dolorosa che sia.
Come viene definito il disturbo della personalità?
In questo articolo non solo ti offrirò la definizione più “classica” di disturbo della personalità, quella del DSM-5 (APA,2013), ovvero il Manuale Diagnostico Statistico della psichiatria classica, ma ti proporrò una visione, più di tipo Costruttivista, che ti anticipo immediatamente:
Tutti i disturbi psicologici sono, per la nostra prospettiva, disturbi che interessano la personalità.
Detto ciò voglio anche da anticipare che:
Questo articolo non ha alcuna velleità diagnostica, bensì mostra due prospettive in parte differenti.
"disturbo della personalità" non vuole dire necessariamente un quadro clinico grave, tantomeno una situazione sulla quale non si possa lavorare attraverso la psicoterapia.
Tutti noi presentiamo alcuni tratti di personalità almeno un po' rigidi e, dal mio punto di vista, ha poco senso parlare di "salute mentale" in termini assoluti, bensì ha più senso riflettere su una percezione soggettiva del malessere e del benessere.
Procediamo però con ordine e vediamo la definizione psichiatrica classica di disturbo della personalità e qualche brevissimo cenno sulla classificazione.
Voglio che, quando leggi questo articolo, tieni bene presente un concetto base: il DSM (dal III al 5) vuole avere un approccio a-teorico.
Questo aspetto è fondamentale perché tenderà sì a mettere d’accordo varie correnti di pensiero, soprattutto sul nome da dare ad un determinato fenomeno patologico, ma al prezzo di applicare al suo ragionamento scientifico un notevole riduzionismo.
La definizione del DSM-5
Il DSM-5 propone la seguente definizione di disturbo della personalità:
“Un disturbo di personalità è un pattern permanente di esperienze interne (pensieri, sentimenti ed emozioni) e comportamenti che sono marcatamente differenti da quelli definiti dalla propria cultura, è pervasivo e inflessibile, ed emerge in adolescenza o nella prima età adulta. E’ stabile nel tempo e conduce a sofferenza o disabilità.”
Vediamo quindi che secondo il Manuale vi sono i seguenti criteri che definiscono cosa è disturbo in tale ambito:
La differenza di certe caratteristiche rispetto al sistema di valori tradizionale
La rigidità delle caratteristiche psicologiche
La pervasività, ovvero che diventano preminenti rispetto alle altre
La stabilità nel tempo, ovvero che più o meno la persona presenta sempre quel quadro clinico
Inizia nell’adolescenza
La sofferenza soggettiva
Queste caratteristiche psicologiche sono causa di sofferenza e/o riduzione del funzionamento nel quotidiano e le difficoltà si riscontrano prevalentemente nelle relazioni, nel controllo degli impulsi, sulle emozioni e nella sfera cognitiva (quindi per il DSM tutta l’area dei pensieri e delle credenze).
Nel DSM-5 contiamo 10 disturbi della personalità divisi in tre “cluster” (tre gruppi) che rappresentano vari tipi di rigidità comportamentali.
I disturbi di personalità nel Post-Razionalismo
Nel Post-Razionalismo (da Guidano, 1992) possediamo una visione molto più ampia dei “disturbi della personalità”. Partiamo da come noi Costruttivisti Post-Razionalisti intendiamo la personalità:
La personalità sono le lenti attraverso le quali guardiamo il mondo e diamo un significato alle cose. Sono lenti prima di tutto emotive, che sono nate e si sono evolute da come abbiamo ricercato la vicinanza dalle nostre figure genitoriali e dai modelli che abbiamo esperito da bambini.
La fattura di queste lenti, quindi, sono i nostri tratti di personalità. A seconda di come siamo fatti diamo un valore, un significato, un colore, a ciò che ci si presenta nella vita.
Le relazioni che viviamo chiaramente sono fortemente influenzate da queste lenti. Come per ogni cosa, non percepiamo l’altro in quanto tale, ma l’immagine dell’altro che ci vogliamo creare la più coerente possibile con la nostra personalità.
Quando queste lenti funzionano in modo un po' troppo univoco, sono appannate, troppo sfaccettate o non ci permettono di vedere l’altro allora non riusciamo a tradurre tutto ciò che viviamo come un’esperienza di vita, a dargli un significato, e le emozioni che viviamo le percepiamo come sintomi psicologici, dato che non le possiamo spiegare altrimenti.
Il punto focale sul quale si orienta la definizione di personalità patologica per noi Post-Razionalisti è su un criterio di rigidità di una personalità, globalmente o di determinati suoi tratti salienti.
Una personalità rigida, anche per paradosso nel suo essere troppo “lassa”, “fumosa” o “disorganizzata”, molto spesso porta ad una riduzione del funzionamento dell’individuo in vari contesti della vita quotidiana. Da tutto ciò, quindi, può essere definita patologica.
Da questa riflessione puoi notare la differenza di impostazione rispetto alla visione classica: per un Costruttivista quando vi è un sintomo psicologico sotto c’è necessariamente una personalità patologica. Il sintomo psicologico deriva da una personalità che presenta dei tratti sui quali lavorare.
Possiamo quindi dire che la psicoterapia è la terapia della personalità i cui tratti, nella relazione terapeutica, possono essere flessibilizzati al fine di star meglio con sé stessi e con gli altri.
Da un certo punto di vista, se vogliamo sempre utilizzare la parabola delle "lenti", in psicoterapia Costruttivista non cambieremo le lenti al paziente, perché quelle sono la sua natura e sono uniche ed insostituibili.
Insieme al paziente lavoreremo sulle crepe, proveremo la lucidarle, a rammendarle e a migliorare la prospettiva che ha di sé stesso e delle cose.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association (APA). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing, 2013.
Guidano V., (1992). Il Sé nel suo divenire. Bollati Boringhieri, Torino.
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